NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Vela Aurica

GUARDARE UNA BARCA

Proseguo l'arrichimento della sezione Vela Aurica, proponendo anche qui l'editoriale del mio sito, il cui contenuto credo possa dare il destro ad interessanti altri commenti e discussioni.

 

La barca è uno strano oggetto che si muove contemporaneamente attraverso due diversi tipi di fluidi: l'aria e l'acqua. Per di più la linea di confine tra i due fluidi non è stabile a causa del moto ondoso.

La forma di una barca non potrà mai essere arbitraria o dettata esclusivamente dal gusto, ma dovrà essere sempre un compromesso tra le varie esigenze, spesso contrapposte, che sorgono nel momento in cui si pretende di far muovere nel modo migliore possibile il nostro oggetto attraverso i due elementi.

Questa seconda osservazione è particolarmente vera per le barche classiche.

Fino ad una cinquantina d'anni fa, infatti, nessun natante poteva disporre di motori in grado di erogare più di una decina di cavalli senza dover far ricorso ad apparati motore eccessivamente pesanti e/o eccessivamente costosi. Allo stesso modo, anche l'estensione dei piani velici (e quindi la quantità di energia eolica che le vele erano in grado di sfruttare) era soggetta a limiti invalicabili dipendenti dai materiali costruttivi disponibili (un albero in legno molto alto è anche molto pesante, cosi come sono molto pesanti e difficilmente manovrabili grandi vele realizzate in fibre naturali).

Le forme armoniose degli scafi delle barche classiche (il baglio massimo a centro barca, la chiglia lunga, ecc.) sono quindi dettate in primo luogo dall'esigenza di sfruttare al meglio l'energia disponibile, riducendo al minimo la cosiddetta “resistenza residua” all'avanzamento, cioè lo spreco di energia determinato da un lato dalla formazione ondosa creata dallo scafo nel fendere l'acqua (la resistenza all'onda) e, dall'altro lato, dalla formazione di vortici sulla scia della carena (la resistenza di scia).

E' interessante osservare che sebbene le barche classiche - come le intendiamo noi oggi - derivino in massima parte da barche da lavoro del XIX secolo, realizzate artigianalmente “a occhio” da maestri d'ascia (che certo non avevano fatto studi di architettura navale), le loro linee incorporano rilevanti conoscenze scientifiche.

L'architettura navale moderna nasce infatti proprio all'inizio del XIX secolo grazie agli studi dell'ingegnere scozzese John Scott - Russel (1808-1882), a cui si deve la teoria, formulata nel 1834, dell'onda di traslazione, relativa alla formazione di onde da parte di uno scafo in movimento: “Stavo osservando il moto di una barca trainata da una coppia di cavalli lungo uno stretto canale, quando improvvisamente la barca si fermò, ma la massa d'acqua che essa aveva messo in moto continuò a muoversi, accumulandosi intorno alla prua del vascello, in modo turbolento. Improvvisamente, dalla prua, si generò una massa d'acqua che cominciò a muoversi in avanti con gran velocità, assumendo la forma di una larga onda solitaria, lunga circa trenta piedi e alta circa un piede e mezzo. Quest'onda d'acqua dalla superficie arrotondata, liscia e ben definita continuò il suo percorso lungo il canale, apparentemente senza mutare forma o velocità. Io seguivo l'onda a cavallo, la raggiunsi e sorpassai, nonostante la sua velocità di circa otto o nove miglia orarie. La sua altezza gradualmente andava diminuendo e, dopo un inseguimento di circa uno o due miglia, la persi nei meandri del canale. Questo, nel mese d'Agosto del 1834, fu il mio primo incontro con quel singolare e bellissimo fenomeno, che chiamai onda di traslazione” (JOHN SCOTT – RUSSEL, “Report on Waves: Report of the fourteenth meeting of the British Association for the Advancement of Science, York, September 1844” - Londra 1845).

A partire da questa osservazione, Russel dimostrò che la resistenza all'avanzamento di uno scafo era direttamente proporzionale allo sforzo necessario a sollevare l'acqua che formava l'onda di traslazione: quindi occorreva progettare scafi che sollevavano meno onda possibile.

Le teorie di Russel (che fondò l'Istituto di Architettura Navale nell'ambito della Royal Society e progettò personalmente numerose navi tra cui la più grande del suo tempo: la Great Eastern) ebbero enorme influenza sulla progettazione navale sino alla metà del XX secolo.

E' quindi ragionevole ritenere che quei criteri costruttivi siano stati trasferiti, più o meno direttamente, anche a quei maestri d'ascia che, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, costruivano le barche da lavoro progenitrici delle nostre barche da diporto, comprese quelle mediterranee. Ovviamente si tratta di un'ipotesi, ma quando vedo un vecchio gozzo ligure di Cornigliano che, benché assai panciuto, sembra quasi sforzarsi con tutto se stesso per avere le poppa e prua a curva rovesciata, non posso non pensare che forse un giorno verso la fine dell'800, a Genova o da qualche altra parte nei mari del mondo, un marinaio ligure abbia visto una nave come il Great Eastern, progettato da Russel, con prua e poppa a curva rovesciata, perché l'ingegnere scozzese aveva scoperto che proprio questa forma garantiva la minor resistenza all'avanzamento, e che quel marinaio abbia pensato che quelle linee potevano essere utili anche per il gozzo (che come modello di barca risaliva ad alcuni secoli prima) che aveva intenzione di farsi costruire.  Russel ebbe invece certamente influenza diretta sul grande progettista norvegese Colin Archer, che, negli anni '20 del XX secolo, si ispirò esplicitamente al grande ingegnere navale per le sue barche, imitate in tutta Europa e ancor oggi prodotte e apprezzatissime.

Ma le barche d'una volta non dovevano essere solo efficienti dal punto di vista energetico.Dovevano essere anche in grado di reggere bene il mare, perché servivano per lavorare (e non per fare gite solo nei giorni di bel tempo) e, soprattutto, perché se il tempo cambiava e ci si trovava lontani dal porto, non si poteva contare sul motore per tirarsi fuori d'impiccio e tornare in fretta a casa.

Ecco allora spiegate tante caratteristiche che spesso noi siamo in grado di apprezzare solo dal punto di vista estetico.

Bordo: il più basso possibile. Perché se è alto, l'opera morta prende troppi schiaffi dalle onde e con vento forte fa inutile (e, soprattutto, non gestibile, come avviene invece per le vele) resistenza all'aria.

Per le stesse ragioni, e per aumentarne la solidità, tughe piccole e basse: e pace se manca l'”altezza d'uomo” in cabina.

La poppa, invece, deve essere abbastanza alta e, se possibile, inclinata verso l'esterno: così le onde da poppa non si infrangeranno nel pozzetto, ma, anzi, aiuteranno a spingere la barca. E siccome, invece, per i motivi che si sono visti sopra, occorre stare stretti al galleggiamento, ecco lo specchio di poppa a forma di cuore, largo in alto e che si stringe progressivamente scendendo verso la chiglia, tipico delle passere istriane e (anche se con forme più piene) delle lance di derivazione catalana (ad esempio il canotto carlofortino) e, infine, la poppa stellata dei gozzi. All'esigenza di alzare la poppa si devono quei deliziosi “cavallini” (cioè la curva lungo la sezione longitudinale che scende da prua e risale a poppa), che tanto piacciono esteticamente a chi ama le barche e che si vedono sempre più raramente.

La chiglia lunga e solidale con lo scafo e la pala del timone protetta dalla carena (e non appesa a poppa per i fatti suoi) da un lato fanno, per così dire, contenta la buonanima di Russel, perché generano minori turbolenze d'acqua rispetto a quelle prodotte da una deriva a lama e da un timone che costituisca autonoma appendice immersa, d'altro lato, in caso di incaglio, possono fare la differenza tra una banale strusciata e la rovinosa perdita della barca.

L'armo, infine, per ovvi motivi, deve essere semplice (perché meno roba c'è, meno se ne può rompere e più facile è usarla) e robusto.

Le barche tradizionali, quindi, pur avendo forme diverse a seconda delle esigenze per cui sono costruite, sono tutte accomunate da tre linee guida di fondo: massima efficienza energetica con mare calmo, massima capacità possibile di tenere il mare in rapporto alle dimensioni dello scafo con mare agitato, massima riduzione dei fattori di rischio in qualsiasi “condizione operativa”. Sono quindi barche strutturalmente polivalenti. Un poco come, per fare un paragone forse ardito, le prime jeep, che su strada avevano prestazioni analoghe alle auto coeve, ma sapevano andare bene anche fuori strada.

Le barche moderne non seguono questa logica. Si tratta infatti quasi sempre di barche specializzate. Vi sono quelle fatte per dare il massimo in acque calme e che quindi (in alcuni casi) soffrono già con onde alte mezzo metro, altre fatte esclusivamente per farsi spingere alla massima velocità dai venti costanti oceanici e praticamente inutilizzabili in qualsiasi altro contesto, altre infine, che quasi quasi galleggiano e basta, ma offrono l'abitabilità di un camper. Di qui l'inevitabile “perdita della bellezza”. E non perché i progettisti attuali siano privi di buon gusto (magari, anche), ma perché è evidente che se una barca è fatta per un solo scopo, saranno esasperate solo determinate caratteristiche costruttive a scapito di altre. Si perderà così l'armonica necessaria fusione tra le varie caratteristiche strutturali, che si trova invece sempre presente nelle barche tradizionali, pur nella grande diversità di forme.

Dopo questa cavalcata su quanto erano belle e ben fatte le barche d'una volta, potrebbe restare solo una specie di nostalgia per un tempo ormai passato e irrimediabilmente perduto. Il piccolo marinaio della domenica o di agosto, figura umana in cui orgogliosamente mi riconosco, sembra avere esigenze del tutto diverse da quelle che hanno ispirato le barche classiche. Il marinaio della domenica, infatti, ha innanzitutto esigenza di spendere il meno possibile per comprare la sua barca e mantenerla. Quel marinaio non usa la barca per lavoro, ma principalmente per divertirsi, andare a fare il bagno col bel tempo, tirare qualche bordo se c'è il vento giusto e, magari (ma questo non lo confesserà mai apertamente neppure sotto tortura), sentirsi in qualche modo parte del mondo glamour ed esclusivo dei velisti. Pertanto a quel marinaio sembra non importare poi molto quale forma abbia la prua della sua barca, ma interessa che la cabina che le “sta dietro” sia abbastanza ampia. Né gli importa come è fatta la poppa, basta che sia comoda, spaziosa e magari, che abbia la scesa a mare e, infine, il marinaio della domenica pretende l'altezza d'uomo in cabina e il w.c. in un bagno separato, così magari può riuscire a convincere qualcuno a venire a passare qualche giorno in barca con lui. Una barca così sarà magari bruttina, ma in fondo, “l'estetica è un'opinione e conta meno della sostanza”.

Sono convinto che le esigenze appena descritte siano in gran parte giuste. Ma sono anche convinto che le caratteristiche delle barche classiche siano ancora oggi attualissime perché possono rispondere in pieno alle esigenze odierne. Non c'è infatti probabilmente nulla di più “moderno” di una barca strutturalmente progettata per sfruttare intelligentemente e, quindi, senza sprechi, l'energia. Inoltre una barca che regge bene il mare, dotata di un armo semplice e facilmente gestibile dà sicurezza e tranquillità a chi vuole usarla per portarci la famiglia e gli amici, mentre un bel ponte sgombro da troppe sovrastrutture offre, sulle piccole barche, proprio quegli spazi che servono realmente per l'uso balneare, normalmente sacrificati per realizzare cabine che si rivelano in concreto troppo anguste per viverci e alla fine ridotte a depositi per le vele e materiali vari. Infine, è possibilissimo costruire barche classiche con materiali moderni e leggeri e, d'altro lato, non è poi così difficile reperire vecchie barche in disuso per trasformarle un poco per volta con pazienza (e sostenendo quindi i costi un poco per volta) in piccoli gioielli.

 



12/03/2009 Fabio Fazzo
vela.aurica@fastwebnet.it


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