NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Racconti

Avventure col bulbo

  • Rientravamo da una breve vacanza trascorsa lungo la nostra bella costa. Avevamo fatto  sosta principalmente al porticciolo di Venturina, prima che lo smantellassero per farci il solito "megaporto" tuttora in costruzione e credo non più fruibile come allora, ospiti vicino al mio amico Andrea, pescatore di professione, tipo molto simpatico e, per alcuni, stravagante e curioso. La nostra amicizia, già trentennale, era nata in occasione della mia permanenza con la barca a Vada, dove in un primo tempo Andrea teneva il suo gozzo da pesca, allorché ci aiutò a disincagliarci dalle secche dove eravamo finiti proprio per il fatto che voglio raccontare. Era una bella giornata di inizio estate e la Meri aveva invitato a trascorrere con noi una sua amica Giovanna, desiderosa di fare un giro in barca anche per imparare le manovre basilari della guida di una barca a vela. Fin dall'inizio però, come mi aveva già avvertito la Meri, si rivelò una "frana" nel vero senso della parola, era manualmente negata in tutto, tanto che era finita in acqua dalla barca ben due volte, inciampando qua e là, pur essendo fermi e ancorati vicino al faro di Vada per fare il bagno. Fortuna che sapeva nuotare, anzi, stare a galla, avendo imparato, come ci aveva raccontato, grazie ad un suo amico, che in passato l'aveva legata in vita con una cima e calata fuori bordo dal patino tenendola  a galla. Ma poi  per gioco aveva incominciato a dare cima mentre molto sadicamente si divertiva a vedere come costei vi si arrampicava affannosamente, finché, terminata questa, aveva mollato tutto in acqua, della serie: "o impari o affoghi ", ed è stato così che la malcapitata Giovanna, tra un sorso e l’altro, aveva preferito imparare!!!    Comunque abbiamo trascorso una bella giornata di sole, bagni, con anche un buon  pranzetto in barca, annaffiato da un buon vinello. Nel pomeriggio decidiamo di rientrare e fare l'ultimo bagno sotto costa, cerco di non avvicinarmi troppo poiché eravamo col mio QR che pescava più di due metri, con il suo bulbo da regata, e prego la Giovanna di filare in mare l'ancora, che avrebbe trovato nel gavone di prua. Calata la scaletta, loro cominciano a fare il bagno mentre io scendo in cabina per, non ricordo cosa fare, fatto sta che dopo un certo tempo sento un rumore tremendo, forse anche amplificato dal fatto che ero dentro lo scafo. Esco velocemente in coperta e realizzo subito il fatto che non sono assolutamente ancorato ma che ero andato alla deriva completamente slegato. Prendo una maschera, mi tuffo per vedere cosa era successo e mi accorgo che sono entrato col bulbo in una specie di conca  con tutti gli scogli attorno che superavano di un buon mezzo metro l’estremità inferiore dello stesso.  La Meri e la Giovanna non essendosi accorte di nulla, mi domandano il perché della mia preoccupazione, io allora chiedo alla Giovanna che fine ha fatto la cima dell’ancora, e lei candidamente, con la sua solita aria svampita, mi riferisce che, sì, ha buttato l’ancora in mare, ma che non c’era “legata nessuna corda!!!” .  Il mio primo istinto, non nego, fu di strozzarla, ma poi pensai bene che forse quello che era ovvio per me poteva non essere ovvio per gli altri, anzi era colpa mia se quell’ancora del gavone di prua non l’avevo legata alla sua cima in sede di riverniciatura della stessa.  Comunque dopo vari tentativi per uscire da quella conca con il bulbo, cercando invano di inclinare la barca anche aggrappandosi al boma tutto filato fuori dalla fiancata legato alla cima di testa della randa, ecco che appare Andrea col suo gozzo da pesca che ci trae fuori inclinando al massimo lo scafo tirandolo dalla sommità dell’albero con la cima della randa aggiunta ad un altro cavo che aveva sul gozzo. E’ così che abbiamo fatto amicizia, anzi, vi dirò di più, in seguito è nata anche una piccola storia tra Andrea e Giovanna, che ho saputo poi cessata per disperazione da parte di Andrea, che aveva dovuto subire per la distrazione della stessa, varie perdite in mare di canne da pesca, reti, arnesi di tutti i tipi, cellulari, bussola, ecc.. ecc..., insomma mi ha confidato che tutte le volte che la portava in barca era una calamità, ma non sapeva come redarguirla per la sua dolce dabbenaggine. La storia era comunque finita allorché una sera al rientro, distrattamente aveva inciampato nel tubo portagomma dell’acqua di raffreddamento dell’astuccio dell’elica rompendolo senza accorgersene, per cui durante la notte la barca è affondata in porto.

A distanza di anni però di queste cose ne ridiamo ancora, specie davanti al suo caminetto acceso con una bruschetta, due salsicce a cuocere e una buona dose di novello.  Spesso ci domandiamo che fine avrà fatto la nostra Giovanna di cui abbiamo perso ogni traccia, con la speranza che lei o qualcuno che la conosce si faccia vivo leggendo per fortuito caso queste mie righe.

Comunque anche questo episodio ha contribuito a chiarire in me l'idea di approdare ad una imbarcazione rigorosamente a deriva mobile, ed eccomi qui ad oggi, il felice proprietario del bel Piviere Merien, anche se allungato, e perciò forse da qualcuno criticato!!!



23/02/2009 Mario Volpini
v.maryone@libero.it

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