NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Esperienze personali

Prime esperienze - a piedi sul molo, sacco in spalla...

(ho tanta buona volontà, mi prendete a bordo?)


Dopo tanto stalking su Naima colgo l'occasione di un'esperienza significativa, certamente diversa per rimpolpare il numero di Maggio. (Mario, la salma ha dato segni di vita, riapriamo la bara!)

Come i più di voi sanno avendolo letto su IlPiviere sono emigrato in Inghilterra, a Plymouth per la precisione, città marittima situata al centro di un articolato sistema di foci che penetrate dall'alta marea risalente dal Canale della Manica formano altrettanti fiordi. La varietà di questo paesaggio marittimo è ulteriormente arricchita dalla ruralissima Cornovaglia confinante con Plymouth e separata da essa dal corso del fiume Tamar.  

Eccomi arrivato da circa tre settimane. La vita a terra scorre quasi indifferente alle vecchie banchine dove un ancora vivace commercio ittico insieme a imponenti basi navali e cantieri per la costruzione di imbarcazioni da diporto che impiegano piu di tremila lavoratori sono solo una eco lontana di quello che è stato il settore che ha dato notorietà nei secoli a Plymouth: la marineria.

Appena abbandonato il water front poi, percorsi cinquanta metri dalle banchine in direzione della terraferma Plymouth diventa una città come tante altre con il suo traffico puzzolente, gli uffici anonimi, i negozi che vendono valori illusori... ma non lo dimentico il mare io, cavolo, dopo aver vissuto per anni scorgendolo con la sola immaginazione di dietro le colline del Chianti, ad Ovest, a decine di chilometri di distanza. Adesso che ne posso annusare le brezze in ogni momento, adesso che se scendo di casa per la strada ne vedo un pezzettino, piccolo per carità, quasi sempre nebbioso ma cavolo, vuoi mettere.. adesso che ogni mattino sono svegliato dai berci*  sguaiati dei gabbiani, proprio adesso dovrei rinchiudermi dietro cortine di cemento? No, non ci casco!

Così, cercando il metodo più diretto per entrare in contatto con l'ambiente marittimo di Plymouth mi sono messo la sacca in spalla e mi sono avviato verso quello che avevo visto su internet essere un club promettente. Il Tamar River Sailing Club




Il tamar River è un club di semplici entusiasti della vela. Gli iscritti appartengono alla schiera dei crocieristi, dei regatisti, dei derivisti e degli aspiranti una qualsiasi delle menzionate categorie. Le classi sociali rappresentate sono parimenti varie, certamente non è obbligatorio avere credenziali importanti o sborsare grandi cifre per essere ammessi. I soci possono godere di un ampio piazzale adibito in Inverno a ricovero barche ed in Estate a parcheggio (obbligatorio seguire per tutti lo stesso calendario di alaggio/varo poichè la gru viene noleggiata per soli due giorni ad Ottobre ed altrettanti ad Aprile). Ci sono poi un pontile galleggiante utilizzabile per servizi vari, alcune decine di posti barca alla boa disseminate lungo il fiume Tamar nonchè, importantissimo per qualsiasi circolo sociale inglese, un accogliente bar munito di tavoli in grado di ospitare tutti i membri in una calda serata di bisboccia con vista sul fiume!




Per essere ammessi al club è necessario comparire per tre volte sul registro delle presenze, controfirmati da due soci ed ogni presenza deve corrispondere alla partecipazione ad una qualsiasi attività di club.  Quindi l'attenzione è data alla partecipazione, il portafogli c'entra poco!

Bene, guadagnarmi la prima comparizione sul registro mi è costato il semplice dover tener banco a tre splendidi membri, John, l'organizzatore delle regate, suo figlio impiegato al bar e Martin, socio a tempo pieno e tatcheriano sfegatato, e sorbirmi insieme ad essi vari bicchieri di vino a stomaco vuoto. Niente di catastrofico, per la vela questo ed altro, ho accettato il sacrificio di buon grado! Si parla del piu e del meno, dell'Italia, della politica inglese.. ma soprattutto, durante la conversazione scaturisce quello che non speravo sarebbe potuto arrivare tanto presto: l'invito alla prima veleggiata!   

  Così mi ritrovo, giorni dopo, a partecipare alla regata settimanale dei dinghies, le derive. Confidando nella veridicità dei miei racconti e nello spessore della mia presunta esperienza di marinaio, superando qualsiasi mia aspettativa mi affidano un eccitante 'Topper' una deriva in spessa plastica bianco/rossa che mai ho visto navigare in Italia. Uno scafo vagamente somigliante ad un laser, con il quale condivide anche il tipo di armo, monovela senza sartiame. La prua è larga e piatta senza alcun accenno ad un 'V' prodiera, è sfuggente come una saponetta usata parecchio! L'opera viva è perdipiù devastata da profondi solchi segno evidente di decenni di uso intenso e l'attrezzatura è a dir poco grossolana. Ma che bello far scivolare la barca in acqua, cazzare la veletta ed entrare attraverso la corrente nel fiume Tamar, fra cigni e decine di scafi di ogni specie ormeggiati alla boa, dai pescherecci oceanici alle vele d'epoca, dalle chiatte rugginose lasciate in secco dalla marea a scafi piu o meno sportivi e moderni, vele, lance, motoscafi. Cavolo fino adesso la mia frequentazione del mare qua in Inghilterra, si era limitata ad un fish&chips nel lungomare e adesso eccomi a pelo d'acqua fra il verde del fiume Tamar..basterebbe cazzare bene la veletta e potrei ritrovarmi in Oceano in un'ora o due!  



In mezzo ad un'organizzazione impeccabile, con giudice di regata e due scafi appoggio mi sono arrangiato a fare una figura decente fra le boe. Quando la marea ha iniziato a salire, invertendo di fatto la corrente naturale del fiume, stavo approcciando la boa al termine di un bordo che mi aveva favorito particolarmente: in pratica considerata dall'inizio l'assoluta inferiorità tecnica del mio Topper avevo optato per bordi dritti da boa a boa, facendo rotta come un mercantile. Un piccolo balzo del vento mi aveva fatto improvvisamente trovare in posizione migliore di quella di chi era andato a cercare brezze sotto costa. Cosi adesso mi trovavo   vicinissimo ad altre due barche . Ci separavano dalla boa non piu di quindici metri di acqua con corrente avversa, vorticosa, da risalire in bolina. Abbiamo lottato almeno un quarto d'ora bordeggiando in quei quindici metri!

La giornata mi ha fruttato la conoscenza di John, un'altro (l'ennesimo) John, armatore di un Westerly Centaur con il quale, mi racconta, aveva pianificato di raggiungere il Mediterraneo attraversando i canali francesi, piano al quale ha dovuto rinunciare in seguito all'abbandono del progetto da parte del suo co-armatore. John mi invita il giorno dopo per una veleggiata verso il mare aperto. Accetto.



Mi presento di nuovo al Club in una mattinata di cielo assolutamente sereno. Il Westerly e' ormeggiato al pontile galleggiante dove John sta armando le vele rimaste arrotolate tutto l'inverno. Una pesante tuga in legno in stile motopesca copre il tambuccio al cui lato è stata alloggiata una piccola ruota di timone alla quale collegare la barra per timonare con mare duro. Non è propriamente un marinaio navigato John, vive lontano dal mare e deve sorbirsi 350km di auto ogni volta che vuole visitare la sua barca che aveva comprato unicamente in vista del suo viaggio. Adesso che il viaggio è saltato medita di venderla.



Si parla a lungo con John, mentre il Westerly arranca al vento come può con le sue vele sgualcite che provo per ore, senza successo e con grande sofferenza a mettere a segno.

Capisco che dopotutto i cosiddetti 'mali della nautica' e qui mi riferisco a quella nostrana, rispecchiano cambiamenti della nostra società entro cui la nautica, come fenomeno secondario è iscritta. 
Osservo come qua la nautica stia prendendo la stessa esatta piega che in Italia o almeno che i cambiamenti cui è sottoposta vanno nella stessa direzione. Stessa direzione ma magari con un'intensità del moto diversa: cambiamenti che nel nostro Paese pieno di azzardi e abusi sono tanto repentini (io stesso in soli venti anni di frequentazione delle coste toscane ho visto la situazione portuale-diportistica cambiare drasticamente), in Inghilterra sono tenuti a bada da una cultura più sviluppata da parte del consumatore finale,  il diportista. Si costruiscono Marina sì, ma li si costruiscono rivalorizzando zone degradate e non sfruttando impropriamente la cornice di antichi borghi o scorci naturali da mozzare il fiato. I porticcioli tradizionali (ne ho visitati molti in Cornovaglia) sono tutti intatti, e valorizzati non riempiendoli di pontili e barche di plastica (di fatto regalando al privato che gestisce il porto un valore aggiunto, economicamente determinante come è la cornice naturale) ma incentivandone il turismo a piedi, valorizzandone il caratteri di luoghi di un'altra epoca. Sono vivi ma di una vitalità diversa pacata, equilibrata.  

Sono parecchio perplesso per quello che succederà alla nautica locale italiana perchè questa di fatto manca di un elemento essenziale, vitale che qua nel Regno Unito ancora sopravvive, certo anche in virtù dell'enorme, grandiosa importanza che la marineria ha rivestito almeno dal diciassettesimo al secolo scorso. Quest'elemento è la Cultura. Cultura nautica si, ma anche cultura del territorio.
L'unica possibilità di creare realtà diverse deve partire dal basso. Bolle di resistenza. Certo, pretendere che si formino realtà come quella del Tamar Club è forse utopia. Il Club per gli Inglesi è una istituzione..il riunirsi nel dopo-lavoro una consolidata abitudine basatasi non solo sui Pubs ma sui Social Clubs o club sportivi di ogni genere. Per i soci del Tamar River Sailing Club il club stesso è importante elemento della propria vita. Vi trascorrono serate, organizzano eventi, partecipano alle spese, alla manutenzione coinvolgendo familiari e amici. Tutto ciò si chiama spirito di aggregazione.
Un'altro elemento di cui noi Italiani siamo carenti!


*berci è toscano, per urla


08/05/2011 Francesco Cappelletti
forleonte@gmail.com

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