NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Per una nuova nautica


le barche meglio riuscite sono quelle abbastanza piccole da essere trasportate a casa o abbastanza grandi da viverci”- P. C. Bolger


Per molti, e anche per me, la società civile nazionale è ormai paragonabile a quella del periodo della fine dell’impero romano a cui è seguito un medioevo lungo e oscuro.


La nautica attuale è espressione evidente di questo stato di fatto, per questo è comprensibile la guerra alla piccola nautica, prima attraverso la sua ridicolizzazione da parte dei mass- media, che trattano solo delle vacanze dei ricchi e potenti, i quali mica possono farsi fotografare su un barchino. Il resto delle persone deve andare in vacanze solo tramite pacchetto organizzato (questo è l’ordine che arriva da televisioni, riviste e giornali ) o starsene a casa, se ce l’ ha ancora. Il tutto avvalorato dall’atteggiamento ostile dei pubblici amministratori.



Per ribellarsi a questo stato di cose occorre avere un atteggiamento diverso nei confronti della nautica, ovvero bisogna avvicinarsi il più possibile allo spirito dello yachting camping, ovvero navigare il giorno e alare la barca sulla spiaggia di notte. Per cui occorrono barche leggere, derive mobili e alberi abbattibili, passando, dove è possibile, attraverso il recupero delle vecchie barche esistenti con queste caratteristiche o/e l’autocostruzione di nuovi, piccoli velieri.


Se è vero che i marina privati hanno ormai fagocitato tutta l’offerta di posti barca, e accolgono solo barche medio grandi e a prezzi altissimi come se fossero piccoli principati di Monaco, ci

restano però i corsi dei fiumi, e le lagune che possono essere luogo di rifugio e svago, e che permettano di raggiungere il mare aperto, ma che hanno, appunto, due tipi di difficoltà: la limitazione verso l’alto dovuta ai ponti che gli attraversano, e i fondali molto bassi.

Problemi sempre esistiti e risolti non da ricchi possidenti o dai grandi industriali e tanto meno da politici illuminati, ma da poveri pescatori e abili artigiani.

Mi riferisco alle barche tipiche della laguna veneta, a vela e a remi, abbandonate per gli usi professionali dall’avvento del motore ma riscoperte negli ultimi anni dal diporto velico.

Solo a titolo suggestivo, segnali i link di un filmato molto suggestivo nonché l’indirizzo del circolo velico casanova di Mestre.


Le acque fluviali della zone che conosco, in particolare il Cecina, sono ridotte ai minimi storici a causa dei prelievi eccessivi per uso agricolo e industriale, non portano più sedimenti a valle e quindi non possono più contrastare, con il loro apparto, l’erosione delle coste. Spesso, i fiumi a regime torrentizio, d’estate sono in secca.

Al lato della foce del Cecina sorgerà il nuovo porto turistico, per cui resterà praticabile alle barche con scarso pescaggio un tratto dalla foce al primo ponte che attraversa il fiume.

Questo è superabile solo da barche che possono abbattere l’albero facilmente e quindi proseguire per un altro tratto, di circa un chilometro, fino ai due ponti successivi (quello ferroviario e quello sulla via Aurelia), entrambi non superabili. Il fondo è molto basso, occorrono barche a fondo piatto, magari a remi o con il piede de motore che peschi pochissimo. Già un battello pneumatico avrebbe i problemi di incaglio.

Questo tratto è interessante, percorso sulla riva destra da un passeggiata ciclabile e sulla sinistra è libero da permettere di tirare a secco un barchino. Magari è ideale per farci un club della vela ed del remo.




Anche nel passato il fiume ha offerto rare possibilità di vivere con la pesca, per cui non servivano barche da fiume, bastava pescare con le bilance fisse.



I pescatori di queste zone, per avere un pescato che gli permettesse di vivere decentemente, hanno sempre dovuto affrontare il mare aperto, e quindi le loro barche erano i gozzi pesanti armati a vela latina, in grado di uscire in mare anche col tempo incerto, e soprattutto capaci di stare fermi in acqua a tirare su le reti anche in presenza di vento e onde.

Non era così per chi pescava in zone paludose o lagunari, caratterizzate da acque calme, si ma da fondali bassi e insidiosi. Qui occorrevano barche leggere e a fondo piatto, armate con la vela al terzo, ovviamente meno adatte, e soprattutto meno sicure per il mare aperto.


Con la rapida diffusione del motore, le barche a vela professionali sono scomparse, sia dal mare che dalla laguna.

Tuttavia, da alcuni anni, alcuni appassionati hanno ripreso alcune barche tradizionali e, dopo averle restaurate o addirittura ricostruite, le hanno utilizzate per diporto e addirittura per farci le regate.

Così sono nate alcune associazioni de vela latina, che poi hanno costituito un vero e proprio circuito internazionale di regate (http://www.velalatinacircuit.it) e altrettante associazioni per la vela al terzo.

Il fenomeno più diffuso e, a mio parere più interessante, è stato il recupero delle barche tradizionale della laguna veneta soprattutto per fare delle gite giornaliere fra un’isola e l’altra, in una ambiente naturale suggestivo. Segnalo a proposito e consiglio la visione di questo filmato, diviso in due parti,http://dailymotion.virgilio.it/video/k3gw2DjkUKb0CejsLV#from=embed / http://dailymotion.virgilio.it/video/x2rfna_velaterzo-1991-2ap_sport , ideato dal Circolo velico Casanova di Mestre, che ha, fra gli altri meriti, anche di organizzare la Velalonga di Venezia e la velalonga raid.


Mi domando se non sia il caso di prendere spunto da queste esperienze, e pensare di dotarci di barche leggere che possano risalire un corso d’acqua protetto, inaccessibile ad altre imbarcazioni e lì trovare ricovero? Possiamo fare a meno dei costosissimi marina che ci trattano come lebbrosi e trovare nuovi luoghi per fermarci, lasciandoci la libertà di uscire in mare?


E ancora; è pericoloso utilizzare una barca a fondo piatto in mare aperto per un bagno, per veleggiare o per pescare? Non certamente per chi pesca per diletto.

Intanto niente reti, che sono vietate, solo lenze o al massimo palamiti e con un numero ridotto di ami. Per godersi il mare difficilmente si esce se non con il tempo dichiarato al bello. Se il pesce non abbocca il problema non c’è, perché si va anche per fare una gita (pesca-passeggiata) e d’estate, per fare il bagno un po’ più in là.

Allora, anche noi, appassionati di piccole barche, possiamo prendere idee dalla tradizione, restaurare, rinnovare, ricostruire o reinventare barche per una nautica civile che sia effettivamente praticabile?

Un esempio possibile: la Sampierota, che è lunga mediamente fra i sei e i sette metri, parzialmente pontata, a fondo piatto, con il suo lungo timone sollevabile che ha anche funzione di deriva, il suo armo al terzo, nata per pescare nella laguna Veneta e quindi andare bene a vela e a remi, ora motorizzabile con un piccolo fuoribordo, è ritornata a vivere come barca da diporto e pesca sportiva, dimostrando di essere un esempio chiarissimo della nautica che vorremmo.

foto tratta dal sito del circolo velico Casanova


In effetti ha :


  • Un basso costo di realizzazione (possibilità di autocostruzione facile, niente cassa di deriva perché questa funzione è assolta dal timone rialzabile, disponibilità di kit di montaggio in commercio);

  • facilità di alaggio e di trasporto su un carrello stradale

  • spazi discreti a bordo.

  • La vela al terzo e l’albero basso e/o abbattibile consentono di passare sotto i ponti

  • Il pescaggio è veramente ridotto.




Una barca simile, con le sue vele particolari, non sfigurerebbe certamente tra i gommoni e i motoscafi dei porti tirrenici che appaiono solamente in piena estate, e reggerebbe il confronto con i moderni sloop marconi, e anche con i gozzi a vela latina.

Non è stato un caso che una tappa del circuito della vela latina è stata effettuata a Chioggia, confrontandosi con la flotta adriatica di vele al terzo, (http://www.italiavela.it/articolo.asp?idarticolo=vele-latine-vele-al-terzo-rendez-vous-chioggia_7783). In tutti e due i casi stiamo parlando di barche concepite per la pesca professionale, sviluppatesi in situazioni diverse ma con un unico fine: garantire le migliori condizioni per far vivere e lavorare i pescatori e permettergli di riportare a casa la pelle.



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Per avere una nuova nautica a dimensioni umane e non televisive,bisogna ricominciare ad andare dove non andrebbe nessuno. “-Ci sarà sempre - soleva dire Mancini - un angolo schifato da tutti perchè non ha più di trenta centimetri d'acqua: ecco, che con col vecchio Piviere io potevo dondolare…..”-. dovremmo essere capaci di andare anche a meno di trenta centimetri.

Non possiamo aspettare che i cantieri facciano barche al giusto prezzo, dobbiamo restaurare quelle valide esistenti, come i Pivieri, o farcele da noi.

Se le barche tradizionali non ci convincono, possiamo affidarsi all’innovazione, guardando quello che succede in altri paesi, ma sempre cercando velieri con pescaggio riducibile e albero abbattibile o molto basso, grazie ad armamenti di randa aurica od al terzo.

Pensiamo alle barche aperte, semipontate o cabinate, con un occhio sempre al trasporto su strada .ed al facile rimessaggio Alcuni appassionati hanno considerato l’esperienza americana degli sharpie, pensati per pescare in mare aperto, ma anche per ritornare in zone a basso fondale Gli esempi di piccoli cabinati costruiti su disegni di provenienza d’oltre oceano sono stati numerosi. Segnalo il Marta Jane, progettato da Philip C. Bolger, e armato con vela al terzo, è stato costruito da Roberto Prina, e partecipa persino al Velaraid, della laguna veneta. (http://www.cantierino.it/AEsperienze/martajane/6Prina.html).


Altre barche, altrettanto interessanti sono cat kech, come i Core sound 15, 17 e 20 piedi (barche aperte)


e i Princess sharpie 22 e 26 (cabinati da crociera costiera)


dello studio (http://www.bandbyachtdesigns.com/index.html )


e la serie dei N.I.S di Bruce Kirby (sharpie cabinati).

foto tratta da http://www.nisboat.com

senza dimenticare un disegno di qualche anno fa, il Foschia, un cat-boat lungo 5,80 m. a deriva mobile, pensato per la costruzione in cuci e incolla. Di cui è autore l’architetto Rodolfo Foschi di Firenze.


Adatto invece alla vela ma anche ai remi è il Primovento, dello stesso progettista.


Se invece vogliamo affidarci ai cantieri, consiglio di dare uno sguardo alle pagine web di Fabio Fazzo (http://www.velanet.it/users/vela.aurica/home.html) che ha raccolto una serie di barche possibili e soprattutto belle.



Il fondo piatto o quasi, e la vela facilmente abbattibile, non sono importanti solo per l’ormeggio, il rimessaggio ed il trasporto su strada del nostro barchino, ma permettono anche di fare una crociera costiera riducendo i disagi pratici ed economici al minimo. E allora  si  può fare quello che Franco Bechini ha fatto per tanti anni con le sue crociere con il "Solitudo", un catamarano di sei metri, con cui cercava abitualmente rifugio per la notte nelle foci dei fiumiciattoli, evitando come la peste porti e marina..

Certo, occorre risolvere un problema non da poco, che l’alaggio e il varo da una spiaggia o da una riva di un fiume con barchini che pesano almeno tre quintali, fino ad arrivare ai mille di un cabinato tanto storico quanto attuale che è il Piviere 6,14 a deriva mobile. I pescatori facevano tutto a forza di braccia, noi invece dobbiamo organizzarci con “carrelli automobili”, motorizzati in qualche modo. Qui la strada si fa veramente interessante, perché c’è lo spazio per le realizzazioni amatoriali, a costi molto bassi, e per quelle professionali.

A titolo informativo segnalo l’articolo di Francesco lenzi sui porti a secco (http://marinaiditerraferma.blogspot.com/search/label/Porto%20a%20secco ) e il mio su Naima http://www.velanet.it/users/ilpiviere/rivista/articolo.php?id=85 )

E il Sito del produttore di carrelli Gattanella http://www.gattanella.it/alaggio/mainmenu.html .

Sul web si possono trovare realizzazioni amatoriali di carrelli da alaggio semoventi.

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Quando decidiamo di cambiare orizzonte, perché abbiamo qualche giorno di ferie,

con una barca piccola possiamo seguire le indicazioni di Francesco e organizzaci in questo modo: http://marinaiditerraferma.blogspot.com/p/gavitelli.html

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In conclusione, per fare nautica, o meglio, per fare Yacthing ,http://www.velanet.it/users/ilpiviere/rivista/articolo.php?id=156, con i tempi che corrono bisogna essere un po’ geniali;

esattamente come il signore con la cravatta sulla piccola barca, della foto qui sotto, che a tempo perso inventò la teoria della relatività.










05/03/2011 Alfredo Vincenti
vinceland@virgilio.it


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