NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Racconti

INDECOROSA FINE DELLA STELLA LIA

Era una mattina presto di Giugno, quando con la Meri iniziavamo l'avventuroso trasferimento della  Stella "LIA" dalla banchina del Cantiere Pezzini di Viareggio, al nostro pontile di Bocca d'Arno.

 

Anche Attilio, con una sarcastica espressione in volto, che solo in seguito avremmo capito, ci consigliò di fare il trasferimento passando dal canale fino al porto, e poi proseguire via mare, per risparmiare sul costo di un eventuale trasporto della "Stella" con un camion, che oltretutto avrebbe richiesto l'impiego di un adeguato invaso di cui eravamo sprovvisti.

 

Naturalmente ci avvertì che dovevamo disalberare la "Stella" per passare sotto alcuni ponti piuttosto bassi.

 

 L’operazione fu alquanto semplice, eseguita lì al cantiere, usando la gru che sfilò l’albero dal suo alloggiamento, con la facilità di un bimbo che estrae la cannuccia dalla sua granita!

Cosa ben più complicata sarebbe stata in seguito, per me e la Meri, il rimontarlo nella sua sede, una volta  ormeggiati ad una boa,  ciondolando là in mezzo al porto!!!

 

Fortunatamente un mio amico pescatore di “bilancia dalla barca”, mi aveva dato il suggerimento di come fare. Infatti mi aveva procurato una robusta canna di bambù di forte sezione, lunga circa 6m, divisa in due pezzi aggiuntabili mediante un manicotto di ottone, con in testa un bozzello dove, nel suo caso, scorreva la cima per calare la bilancia fuori dalla poppa, mentre il tutto era tenuto ritto, ma inclinato verso l’esterno, con due cavi fissati ai lati della barca verso la mezzeria della stessa.

 Io avrei potuto usare lo stesso metodo “rigirandolo” verso prua, issando la canna dal pozzetto e  assicurandola  con due corde laterali alle bitte posteriori della Stella, in modo tale che il bozzello in alto con la relativa cima passante, si presentasse sulla perpendicolare della scassa. Una volta fissato questa specie di gru casereccia, legando l’albero appena sopra il suo baricentro, lo si poteva sollevare inclinato, con un piccolo verricello e, con una certa facilità, inserirlo nel suo alloggiamento.

Senza questo “ marchingegno” alzare l’albero, pur essendo questo relativamente leggero, ma lungo più di 8m, con le sole braccia, sarebbe stato pressoché impossibile in mancanza di mezzi esterni.

 

Ma torniamo alla nostra partenza dal cantiere. Una volta caricato tutto ciò, compreso l’albero opportunamente appoggiato sdraiato in coperta e raccolto cavi e le cime, il tutto ben fissato insieme al boma, alle bitte della Stella, fatti i dovuti saluti agli amici del cantiere, mollati gli ormeggi e prese le “pagaie”, già, “non lo avevo detto”, ma sulla Stella non è prevista alcuna possibilità di installazione di un qualsivoglia motorino, pena la messa al bando da tutta la nautica sportiva, alla Meri, non restava che “pagaiare”, appollaiata sulla estrema prua, facente le veci della motorizzazione a trazione anteriore, mentre io, al timone, godevo come un matto per la sudditanza della stessa, prendendola in giro e, scherzosamente imperandole, il: “rema schiava!!!”.

 Forse, ma non voglio crederci, lei sorrideva a questa situazione, solo perché non eravamo ancora sposati!!!

 

Allego le foto del  tragitto percorso nel canale, perché fu davvero bellino, specie peri vari colori che l’acqua assumeva ad ogni incrocio con i vari scarichi di non precisata provenienza.

 

Infatti superati, anzi, “sottopassati” alcuni ponti, pagaiando, pagaiando, come ci avevano detto, arrivammo alle famigerate chiuse che permettevano di vincere il dislivello tra mare e lago. ( Non ci sono più stato e mi domando se ci sono ancora!)

 

Avvertito precedentemente del nostro transito, il “Padrone” “delle chiuse”, anzi, come ci sottolineò, “casellante delle cateratte”, quasi lo avessimo diminuito di “grado”, ci chiese di fermarci per descriverci la manovra da eseguire. L’operazione consisteva “nell’aiutarlo”, in un primo tempo, ad aprire le cateratte a monte mentre quelle a valle andavano chiuse, far defluire l’acqua e livellare l’altezza lago. Dopo potevamo entrare con la barca, richiudere le stesse, aprire le altre per livellare l’ altezza mare, quindi uscire dalle cateratte a valle e provvedere a richiuderle  rimettendo  tutto a posto perbenino, maniglioni compresi, gentilmente “prestati” per girare gli argani!!!

 

Facile a dirsi, ma fu una fatica boia! Poiché dovemmo fare tutto a mano noi, dato che il “casellante” ci disse che era “invalidato” e, inoltre c’era un guasto all’impianto elettrico delle “cateratte”, che doveva essere riparato da tempo. In seguito ho saputo che era così da anni, poiché quel transito era raramente usato.

 

 Oggi mi chiedo se funziona  ancora tutto così.

Solo allora mi ricordai dell’espressione “sarcastica” con cui ci aveva salutato il nostro amico Pezzini che certo era a conoscenza del fatto!!!  Ma si sa, gli spiriti nobili spesso sono i più burloni!!!

 

Passati gli ultimi ponti, alcuni di questi non più alti di un metro dall’acqua, percorriamo il Burlamacca fino a raggiungere il porto, con gli occhi addosso di tutti i curiosi itineranti sulla passeggiata del molo, che ci osservavano come fossimo stati dei “Marziani”!!!

 

In un primo momento avevamo pensato di ormeggiarci nel canale per fare l’operazione di “alberamento”, senonché al solo avvicinarci alla banchina, si era formato un capannello di persone, che avevo già notato con la coda dell’occhio, poiché ci seguiva da tempo, forse incuriosito dal nostro trambusto.

Anche la Meri,  pagaiando come una forsennata, mi diceva di proseguire, poiché si vergognava, davanti a tutta quella gente, dover affrontare tutta l’operazione che c’era da fare per montare l’albero e tutto il resto, anche se l’avevamo già provata con buon successo nella darsena del Pezzini.

 

Fu così che, arrivati in mezzo al porto, ci ormeggiammo  ad una delle grosse boe, forse messe lì proprio per noi!!!  Solo in un secondo tempo, abbiamo saputo che erano le boe della Finanza a cui era vietatissimo l’attracco!!!

 

Vista l’ora che avevamo fatto, erano quasi le due, decidemmo di riposarci un pochino anche se il sole era alto e picchiava forte.

Subito la Meri tirò fuori il suo fedele paniere, che io scherzosamente avevo nominato come “il kit di sopravvivenza per un battaglione” in quanto non si limitava a due panini e “via”, bensì era corredato, come sempre, dalle migliori leccornie, stuzzichini vari, bevande gustose, ottimo vino e immancabile frutta fresca di stagione, per non parlare dei dolcetti di varia natura.

Il fatto è che poi, però, ti subentra la dolce sonnolenza digestiva, e fu proprio lì che, alla Meri e a me, venne lo stesso pensiero e decidemmo che la prossima nostra barca doveva avere almeno due piccole ma comode cuccette e magari un wc portatile!!!

 

Dopo uno scomodissimo riposino condito con abbondante insolazione, portammo a termine tutta l’operazione di ripristino dell’alberatura alla Stella fissando l’albero, il boma e tutto il necessario già precedentemente preparato per iniziare la navigazione dal porto di Viareggio a Bocca d’Arno.

 

La Stella è una barca eccezionale, con la lieve brezzettina del maestrale, è quasi sufficiente l’alberatura senza vele per farla muovere, tanto è delicata sull’acqua, con quella sua carena a spigolo, ma stondata sotto, infatti non ti accorgi nemmeno di avere un discreto bulbo in chiglia, per non parlare della ottima tenuta di rotta dovuta anche al generoso skeg che sostiene il timone, altra opera d’arte, con quella sua forma tondeggiante, leggerissimo, sensibilissimo, ma nel contempo potente, lo senti tra le mani obbediente e deciso come il servosterzo di un’ottima vettura, pronto a far girare immediatamente la barca su se stessa, anche per la sua vicinanza al bulbo a centro barca e abbastanza distante dall’estrema poppa. Da fermo semplicemente spostandolo da una parte all’altra fa avanzare la Stella, come la pinna di coda di un pesce.

 

Molto importante è la messa a punto, l’albero stesso può essere variato sia in inclinazione sia proprio in posizione longitudinale, nel  nostro caso della Stella LIA, semplicemente spostando i vari cunei che lo trattengono  nella scassa e nel foro della coperta, e regolando gli arridatoi di tutto il sartiame.

 

Appena issate le vele, consistenti in una generosa randa, a fronte di un modesto fiocco, proprio il contrario delle ultime barche “corsaiole”, ti accorgi immediatamente di essere su un puledro di razza, ma all’occorrenza, come desideriamo noi, anche sicuro e tranquillo, infatti ho sempre pensato che non è detto, che se hai un “motociclettone”, o un “macchinone” devi  sempre correre per forza!  Poi va immaginata la Stella non come un’Honda o un Kawasaki di oggi, bensì come una Guzzi dell’epoca!!!

 Comunque, navigarci, vi posso garantire, è una vera goduria, come vi può confermare anche la Meri che l’ha sempre definita come una barca sportiva da donne, paragonabile alla sua “Mini blu col tettino bianco” che aveva in quel periodo, e tuttora ricorda con piacere.

 

Dopo circa due stagioni che avevamo la Stella, mi era capitata un’altra barchetta lasciatami in giardino dal vicino di casa, poiché si doveva trasferire per lavoro, e non la poteva più utilizzare.

 Era l’Albatros della Comave di cui vi ho già parlato.

Per cui quando mi chiamò Walter, il titolare del canterino dove tenevo la Stella LIA, non mi opposi al fatto di cederla ad un suo amico, che a suo dire se ne era innamorato e in cambio oltre alla cifra pattuita mi avrebbe regalato, se mi interessava, anche un “barcone” come lui disse, che aveva, abbandonato da anni, nel suo terreno sull’Arno verso S.Piero dove avrebbe trasferito la Stella LIA.

 

E così in ottobre di quell’anno, mi ritrovai di nuovo a lavorare per mettere in funzione le prossime barche. Ma in fondo è una cosa che mi è sempre piaciuta!!!

 

 Intanto avevo saputo che la LIA aveva disalberato, sembra per incuria del nuovo proprietario in una errata manovra con le sartie volanti, importantissime per quella Stella.

 Inoltre il mio amico Walter mi disse che l’aveva vista ultimamente in Arno, con due “remoni” fissati a due scalmi conficcati sui fianchi ai lati del pozzetto, modificata da un successivo proprietario in “barca da pesca” col retone a poppa, magari utilizzando proprio la canna che  ci era servita per montare l’albero.

 

Il cuore mi si strinse parecchio al pensiero della ingloriosa fine della nobile LIA. Ma così è la vita!

 

Comunque a questo mondo ho imparato che tutto passa, e credo sia un errore madornale, affezionarsi troppo alle cose materiali che oggi puoi avere e domani no e viceversa!!!

 

A proposito del famoso “barcone” avuto in cambio con la vendita della Stella LIA :

si trattava di un bellissimo e trasandatissimo “Dragone” sommerso da edere e ortiche!!!

 

Ma questa è un’altra storia!!!   



03/04/2009 Mario Volpini
v.maryone@libero.it

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