NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Racconti

Cassa della deriva e scalo rovesciato

 

Cassa della deriva e scalo rovesciato

 

Complice un clima veramente inusuale per le nostre zone, alla fine di ottobre, fatto di giornate dall’aria frizzante, azzurre, dove il sole disegna nitidi i contorni delle case degli alberi e dei monti ancora bruni: non mi sono ancora  deciso a traslocare completamente nella casa di Gianni. La lisca del dinghy è nel mio garage senza porta, invaso dai trucioli usciti dalla pialla quando ho rifilato il contorno ondulato della chiglia e avviato le forme della prua, ma adesso è il momento di spostarsi: lo esigono le lavorazioni imminenti.

Nella stanza a piano terra della casa abbiamo spostato contro un angolo il vecchio mobile da sala con la credenza guarnita da specchietti rettangolari diventato ripostiglio di sementi e concimi, traslocato altrove il grosso divano che Giulio usa d’estate per i pisolini, tolti i sacchi di pane secco per i polli; misurata con scrupolo la porta di accesso ad una sola anta,chiusa in basso da pannelli di legno e superiormente suddivisa in quattro vetri separati da una cornice a croce: sarebbe imperdonabile scoprire alla fine della costruzione di non riuscire a portar fuori lo scafo, ne Gianni mi permetterebbe di allargare l’uscita.

La cassa della deriva sale dal paramezzale fin sopra la linea di galleggiamento ai bordi dell’apertura fatta con la mortasa del falegname. In calce sui disegni è riportato: “Cassa di deriva mobile Apertura per la lamiera di 13mm in luce, fianchi di kauri o pino dell’oregon spessore 19mm. Piedritti di rovere o teak, coronamento di kauri pino mogano o teak.”

“Perno per la deriva di lamiera = bullone da 3/8 - 9,5mm con bussola di 5/8 – 15,9mm ribadito con due rondelle ai lati della cassa”

“Sopra chiglia” ovvero la chiusura della cassa verso prua “olmo di roccia o picth-pine 102x19mm sagomata al centro come la chiglia e fissata con viti in ottone del n°12 distanza delle viti 100mm” un laconico asterisco che quasi si confonde con le macchie della carta indica la ripetizione delle note per la chiusura verso poppa.

Nella casa di Gianni la prima cosa da fare è la realizzazione di uno scalo. Chiamare scalo questo trespolo di legno che tiene assieme le sagome su cui piegare le tavole del fasciame e inchiodarle tra loro mi sembra eccessivo; anche se i carpentieri chiamavano appunto scali tutte quelle strutture fisse che servono a sostenere la costruzione degli scafi.

Lo scalo che mi torna alla mente è ben altra cosa: è quello dove lavorava mio nonno palombaro.

Ci sono ricordi  di fatti e cose che galleggiano, si dissolvono e riappaiono dentro di noi come palle di sapone e non si riesce a dare loro un inizio o una conclusione, così accade per il gozzo di mio nonno che sospinto a remi si muove lentamente nella darsena vecchia e nella mente: rievocato dalla necessità di rendere partecipi gli altri di una propria emozione.

  E’ un’imbarcazione modesta, priva di motore  manovrata dal compare fidato del nonno: una vita passata assieme comunicando  attraverso una cordella che il nonno si porta appresso, fatta di piccoli strappi e vibrazioni capaci di trasmettere ogni bisogno come un telegrafo marino. 

Al centro dello scafo, con il bottazzo pitturato del nero

dei rimorchiatori e di verde scuro sul fasciame, troneggia la cassa di legno lucida: verniciata a coppale, dove è racchiusa la pompa dell’aria. Ai lati della cassa due grandi ruote di ottone, ormai scure per il salino, con le impugnature rivestite di legno, servono ad imprimere il moto alla pompa.

Seduto sull’ultima passerella per il carico e lo scarico che dalla riva porta verso la parte più fonda della darsena; vicino al piano inclinato dello scalo Picchiotti: dove due grandi travi di legno tenute allineate da un’infinità di traversi si inabissano simili ad una ferrovia di Verne, guardo l’ingombrante sagoma di gomma in cui è racchiuso il nonno e la sfera di ottone con gli oblò collegata al tubo della pompa. Scende dalla scaletta di ferro facendo inclinare tutta la barca mentre l’altro iniziata a girare lentamente le ruote e  resta a galleggiare vicino l gozzo; adesso si passano gli attrezzi poi dalla tuta di gomma escono le bolle d’aria e il nonno scende verso il fondo a preparare lo scalo per il varo: uno degli ultimi che verranno fatti da questo cantiere.

L’acqua scura non permette di vedere il fondo e le bolle che affiorano si uniscono a quelle della memoria svanendo.

Non potendo di certo piantare nel pavimento della casa i sostegni per le sagome del dinghy, mi sono procurato dei legni al Bircocenter in abete 100mmx100mm di sezione abbastanza lunghi per disporre i vari pezzi, sotenuti da due grossi piedi che ho trovato più comodo comperare già fatti.

Tra le mezze sagome in scala 1:1 dei disegni ho ricavato: in multistrato da 20mm, le sagome principali che una volta fissate con la parte ricurva verso l’alto hanno accolto la chiglia formando la sagoma completa dello scafo. Prima di iniziare a realizzare il fasciame occorre sagomare i bordi delle sagome poggiando una assicella lunga quanto lo scafo in modo da togliere tutti gli spigoli ed avere dei piani su cui appoggiare le tavole. Suddivisa ogni sagoma in 12 segmenti

Inizio a fissare l’assicella con dei chiodi e di raspa e pialletto asporto gli spigoli poi la sposto cerco e spiano le gobbe e passo alla segmento successivo. Occorrono un paio di sere per completare tutto lo scalo.

 

Ho sempre grossi dubbi sull’utilità di questa storia e sull’interesse che può suscitare, mi domando se racconto per un bisogno personale o per non mancare ad un’attenzione che Francesco mi ha riservato.




LA LISCA DEL DINGHY A CASA DI GIANNI


LO SCALO LA CHIGLIA E LE PRIME TAVOLE


LE PASSERELLE DI CARICO E SCARICO






22/12/2008 Franco Favilla
francofavilla@libero.it

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