VELA AURICA & piccole barche classiche


GRAN LASCO
(parole &pensieri)





Raccolte da Fabio Fazzo

Le barche hanno un'anima. Lo si sa. Lo dicono tutti. Anche il più scettico uomo del mondo, con cui bisognerebbe stare bene attenti a incominciare un discorso sull'anima dell'uomo, non batte ciglio a questa asserzione. Non tutte però. Un gommone non ha un'anima. Non ce l'ha un quarter ton in fibra di carbonio e con la poppa senza specchio, non ce l'ha un potacontainer da duecentocinquanta metri. Ma forse non son barche. Forse ho trovato la definizione di barca. Una cosa fatta per galleggiare che ha l'anima. Le altre sono solo galleggianti. (CARLO SCIARRELLI, Lo Yacht, Milano, ed. 1998, pag. 458)

Lo yacht è la barca del gentiluomo, ma non costa di più della barca di un certo tipo di moderno povero. La povertà, che in questo caso coincide con la volgarità, sta nel fatto che per la stessa cifra, il povero vuole una barca molto più grande, più brutta e mal costruita. (ibidem pag. 421)

Esporre al giudizio del pubblico una barca troppo bella è una sfida sfacciata, bisogna chinare il capo e sopportare l'intransigenza di chi va in giro in gommone. (ibidem pag. 415)

Proviamo ad entrare col pensiero in un marina. Sono yacht quelle barche di serie in plastica con tughe e fiancate pitturate a strisce colorate, con rullaranda e rullafiocco, con a poppa una scritta in corsivo con la composizione dei nomi dei figli del proprietario? Sono yachtsmen i componenti della famigliola che stanno mangiando a bordo, poi si metteranno i pigiamini (se non li hanno già addosso) e andranno a dormire nelle loro cuccette e domani torneranno a casa incolonnati in macchina senza essere usciti dal porto e così avranno risolto il loro weekend? (ibidem pag. 419)

Quello che però è sicuro è che io non provo più piacere nel vedere le barche moderne di serie. Ma è un problema mio, e devo tenermelo. Io sento molto lo squallore che si prova camminando lungo i pontili di un marina. File e file di consumistiche barche di plastica. Si respira mediocrità. Non si può passeggiare tra i condomini di una periferia moderna e sentirsi contenti. E pensare che chi fa il picnic settimanale su queste barche allineate senza mollare gli ormeggi è tecnicamente e socialmente soddisfatto. Perché oltretutto la pubblicità convince che mangiare la carne in scatola e a dare al bambino il cornetto avvolto nel cellophane è un traguardo sociale, ed in fondo è anche vero, perché i surrogati costano sempre di più delle cose che vanno a surrogare. E questo vale anche per le barche. Sono sempre orgogliosissimi i proprietari dell'ultimo Baltic. Per forza. Hanno speso il doppio di quel che costerebbe una barca della stessa lunghezza fatta da un artigiano, un pezzo unico in legno, ed almeno il quadruplo di d'una barca in ferro. Come quando si è più orgogliosi se si ha addosso la maglietta di materiale sintetico del tipo che va di moda, rispetto a quando si indossa una maglia di vera lana fatta a mano dalla mamma. Maglia che non è di moda mai, cioè di moda sempre” (ibidem, pag. 420).

Nella trappola insidiosissima che se non si hanno i soldi per una barca bella ma costosa bisogna accontentarsi di una brutta ma economica, ci si cade non per povertà ma per volgarità. (ibidem, pag. 421).

La barca tradizionale non ha lusso ma è di lusso; e perde tutto il suo lusso se viene costruita lussuosamente (ibidem, pag. 421).

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Non ho ovviamente mai conosciuto Sciarrelli e non so che tipo fosse se non per i racconti scritti da chi lo ha incontrato (trovo bellissimo quello riportato su questo sito dall'armatore di Milady: non volle nulla per il suo progetto, ma fece capire che gli sarebbe piaciuto ricevere del buon vino!).
Da quello che ho letto sui suoi scritti, mi pare che avesse certamente un concetto molto elitario di nautica. Ma non si trattava di un elitarismo basato sul censo. Distingueva invece in base alla competenza, all'amore per il mare e al buon gusto (detestava, ad esempio, quelli che pur di avere una barca grande ne compravano una di bassa qualità e apprezzava le barche piccole ma buone: il suo BAT era lungo 5 metri). Pur vivendo di nautica, Sciarrelli non esitò a criticare duramente la sempre più spinta commercializzazione del settore, rinunziò a seguire mode che non condivideva e, quindi, a progettare da una certo punto in avanti barche da regata di cui non condivideva lo spirito. Si limitò a costruire barche da crociera (rinunziando quindi probabilmente anche a molti soldi). Amava le cose semplici e se ne infischiava delle apparenze: grandiosa la sua battuta (in polemica con la diffusione delle costose ferramenta in acciaio inox) sul ferro di una volta che non arrugginiva. A me pare che l'anima sia data alla barca dall'amore di chi la costruisce e di chi la usa. E' difficile che ci sia amore in chi costruisce barche in grande serie. E' difficile che ci sia amore in chi usa una barca come mero strumento di divertimento, di gara o di lavoro salariato. Sono per l'appunto solo strumenti, mezzi, macchinari che servono ad uno scopo altro (fosse anche un "altro" nobilissimo come, ad esempio, salvare vite umane o portare a casa la pagnotta). Per questo io non riesco a vedere un'anima neppure in un gommone usato per il soccorso in mare, in una petroliera, o in quelle specie di piattaforme galleggianti per il trasporto di strumenti da pesca che sono gli attuali pescherecci, magari costruiti con qualche pubblica sovvenzione. Sono tutti strumenti: utili, utilissimi, ma strumenti.
6 aprile 2009 FF




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